Pubblichiamo una bella e appassionata riflessione di Fabio Galimberti, sulla ferrovia Pedemontana.
Fabio è un noto storico ferroviario, già Presidente del Sat - Dlf di Udine e uno dei sostenitori più convinti del progetto di Fondazione FS in Friuli Venezia Giulia, soprattutto per quanto riguarda il Museo ferroviario di Campo Marzio di Trieste; lo scorso anno ha collaborato con noi all'organizzazione della Mostra dedicata alla ferrovia Pedemontana di cui ne è un profondo conoscitore.
Con l’avvento dell’industrializzazione moderna, la nascita delle ferrovie ha sempre significato, per i luoghi da esse attraversati, la possibilità di mettere in comunicazione genti che altrimenti molto più difficilmente si sarebbero agevolmente incontrate.
Il nostro Friuli non fa eccezione, le grandi ferrovie come la Pontebbana, la Udine-Venezia, la Trieste- Venezia hanno portato persone, merci e quindi conoscenze, ricchezza materiale e culturale.
Ma il nostro Friuli è stata anche terra dove sono sorte ferrovie misconosciute, poco sfruttate, poco raccontate. Chi non si ricorda della Cervignano-Aquileia-Belvedere(Grado); la S.Vito-Motta di Livenza per citarne alcune.
Ma quella che più rimarrà nei cuori dei friulani, almeno di alcune generazioni, è la Sacile-Gemona, meglio nota come “la ferrovia Pedemontana”. Tralasciando qui la sua genesi, oramai credo nota a tutti, mi piace ricordare questa “secondaria” delle nostre beneamate FF.SS. come una donna, una mamma tipicamente friulana; non vogliatemene ma questo è un sentimento quasi materno che questa ferrovia mi evoca.
Una ferrovia nata in sordina, due tronchi, in date differenti, ma nata per mettere in comunicazione un’area, quella appunto della pedemontana friulana, altrimenti fuori da ogni strada principale; un’area potremmo dire isolata, lasciata in disparte dalle grandi direttrici di traffico; eppure un’area che sentiva il bisogno di riscatto materiale e morale, dalla miseria che gli anni prima, durante e dopo la costruzione della ferrovia rappresentavano; una maniera per far sentire un territorio ancora più ancorato al suo Friuli.
Nacque così una ferrovia silenziosa, senza squilli di tromba e roboanti annunci; solo una ferrovia per far sentire di esistere, di essere comunità. E quella ferrovia iniziò il suo servizio con il trasporto delle merci prodotte nelle piccole realtà attraversate, ma soprattutto divenne una ferrovia di emigrazione.
Una emigrazione raramente di vicinato, la stragrande maggioranza delle volte una emigrazione di lontananza, “ ator pal mond”. E quindi via per destinazioni lontane, le Americhe, l’Australia, il nord Europa, molto spesso con viaggi che non prevedono un ritorno.
Ecco la ferrovia mamma che accompagna i suoi figli verso un futuro carico di incognite. Vengono le guerre e lei è li a servire con il suo umile andare, portando rari passeggeri, e ancora più rare merci, a volte perfino colpita da incursioni e sabotaggi. Viene la pace, il desiderio di rinascita, e anche la nostra Pedemontana rialza la testa cercando di dare il suo contributo alla rinascita del paese e nel riscatto delle sue zone; sono anni felici, operai, impiegati, scolari si fanno cullare al mattino e alla sera dalle ancora onnipresenti “littorine”, il vapore sbuffa e arranca con i suoi omnibus, raccoglitori; insomma la mamma si è rimboccata le maniche e, nella piena maturità esprime degnamente il suo esserci.
Poi arrivano gli anni dei “rami secchi”, le ferrovie calano la scure su ciò che è necessario e ciò che andrebbe tagliato.
I traffici merci diminuiscono drasticamente, i viaggiatori pure, la nostra mamma è in piena crisi identitaria, cosa ne faranno di lei? Ci pensa improvvisamente un certo “Orcolat” che la notte del 6 maggio 1976 distrugge in più punti la Pontebbana ma non la nostra! Lei è lì, silenziosa, disponibile, pronta, presente. E darà un contributo importante quei giorni a snellire il traffico, nel portare aiuti. Lei c’è!
Tornata la tranquillità, finita l’emergenza la ferrovia torna al suo quieto vivere, ma sempre con l’orecchio teso; “mi vorranno chiudere?”.
Sono anni di incertezze, la gente un po’ di lei se ne è dimenticata, anche un po’ fregata. Fino a che un bel giorno un banale smottamento non causa la sua chiusura, momentanea si dice, si narra, in realtà definitiva ai più.
E questa sarebbe la fine per la nostra mamma ferrovia se non che alcuni suoi figli, ricordatisi di che cosa ha significato per molte generazioni, non hanno pensato bene di unirsi per farla risollevare, riamare, riscoprire ai tanti distratti di oggi.
E bravi questi figli di un Friuli che non dimentica! Quale migliore occasione per ricordare ai più che c’è un’opera, una semplice ferrovia, che attende solo che tanti suoi figli la tornino a riscoprire, ad amare, assieme ai luoghi che essa attraversa, una parte fondamentale del nostro beneamato Friuli.
Ti auguro ogni fortuna per la tua prossima seconda vita, cara mamma Pedemontana, torna a darci quelle sensazioni che solo tu puoi proporci, i luoghi da te attraversati, i meravigliosi ponti, le pendici dei monti !
Grazie Pedemontana, grazie di tornare a far battere per te i nostri cuori!
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