Il dott. Romano Vecchiet alla Mostra di Gemona |
Pubblichiamo un bel contributo del dott. Romano Vecchiet, amico e storico delle ferrovie nonché appassionato sostenitore del mondo dei treni - Pedemontana: storie di sopravvivenza, in “Nuove. Periodico dell’Associazione fra le Pro Loco del Friuli-Venezia Giulia”, 5 (1993), n. 1-2. p. 50-51.
“Ci sono stazioni più importanti dei paesi che ne forniscono il nome, a volte nomi di fantasia, cui non corrisponde alcun centro abitato. Nella memoria di quei pochi viaggiatori che ne fanno caso, si fissano come chiodi proprio per la loro totale astrattezza, i loro nomi vengono iterati sui biglietti, sugli orari, sulle tabelle di destinazione dei treni agganciate alle pareti esterne dei vagoni (quando ancora lo si faceva): Terontola, Bosco Redole, Chilivani, Ponte nelle Alpi, Polpet…
Sono spesso stazioni di ferrovie locali, da cui si dipartono le linee ancora più secondarie, “rami secchi” come ormai da tempo la stampa li definisce.
La loro rilevanza ferroviaria è costituita dal fatto che qui si apre una diramazione, un’altra linea si distacca dalla prima, la cerimonia delle “coincidenze” si celebra più volte al giorno, quando i due diversi treni si incrociano, si aspettano o si spezzano, e qualche isolato passeggero passa da un’automotrice all’altra.
Il paese, se c’è, se ne sta ben lontano, arroccato su una collina, oltre un fiume, del tutto estraneo a quel periodico e rado movimento di treni.
Pinzano non è Bosco Redole (una stazione attorniata dai boschi del Sannio), non è Chilivani (il nome, pare, della sposa indiana dell’ingegnere che la ferrovia, nel Logudoro, costruì più di un secolo fa), ma per l’appassionato di cose ferroviarie Pinzano è soprattutto una stazione.
Ormai privata, già dal 1967 per il traffico passeggeri, del tronco per Spilimbergo e Casarsa, ha però mantenuto l’aspetto della stazione di una certa importanza, se non altro per il fascio dei binari, più ampio delle altre stazioni della Pedemontana, per la presenza, fino a qualche anno fa, della rimessa per le “littorine”, per la piattaforma che serviva a “girare” le locomotive, quando ancora c’erano e movimentavano i carri merci tra una stazione e l’altra, tra sbuffi di fumo e allegri scoppiettii che echeggiavano lungo il medio corso del Tagliamento e fra i colli morenici fino a San Daniele.
Il treno arrivò per la prima volta a Pinzano nel 1912: era il tronco oggi tristemente abbandonato che la collegava a Spilimbergo, a sua volta collegata a Casarsa gia’ dal 1893.
Nel 1914 Pinzano era unita a Gemona, ma solo nel 1930 lo fu con Maniago e Sacile e la Pedemontana poté dirsi finalmente completata, con Pinzano al suo ideale centro. Non dobbiamo consultare gli archivi storici delle Ferrovie dello Stato per capire che il traffico non fu mai eccezionale. Lo dimostrano la mancanza di treni diretti o internazionali (che pur avevano interessato, nei mesi estivi, linee locali come la Casarsa-Portogruaro o la Udine-Cervignano), o semplicemente il raffronto di vecchi orari: le sole tre coppie di accelerati leggeri tra Pinzano e Sacile nel 1938, salite a quattro nel ’54, a cinque nel ’56 e tornate a quattro nel ’67.
Oggi, tra Pinzano e Maniago, i treni sono solo tre nei giorni feriali, e ancora tre nei festivi. Ricordo, vari anni fa, malinconici ritorni domenicali con l’ultima automotrice della notte, unico viaggiatore tra Maniago e Pinzano, una volta scesi tutti i viaggiatori lungo la tratta più frequentata, tra Sacile, Aviano, Montereale e Maniago. Il treno proseguiva vuoto fino a Gemona, e mi chiedevo per quanti anni ancora avremmo potuto vederlo, e se la scure inesorabile del tagli alla spesa pubblica non avrebbe iniziato anche qui a seminare le sue prime vittime.
Invece, fortunatamente, la Pedemontana sopravvive ancora, nonostante tutte le avversità che l’avevano nel tempo minacciata: la progettata diga di Pinzano, il cui bacino artificiale l’avrebbe sommersa inesorabilmente, la nuova strada Cimano-Tiveriacco, che per un tratto le corre parallela insidiando la sua originaria autonomia, il ponte stradale affiancato a quello ferroviario tra Cimano e Cornino, altro elemento che ha leso la sua supremazia, ma soprattutto – qui come altrove – il sempre più massiccio ricorso alla motorizzazione privata e al trasporto merci su gomma, che hanno depauperato il suo tradizionale traffico.
A chi assegnare il merito maggiore di questa ostinata sopravvivenza? Al traffico merci tra Gemona e Osoppo che serve la zona industriale di Rivoli? A quello pendolare scolastico, discretamente sostenuto, tra Maniago e Sacile? Agli ultimi emigranti che tornano per Pasqua, Natale e Ferragosto sui “Minuetti” e per pochi giorni ravvivano i fasti di quel piccolo treno? Al suo vago significato bellico – strategico? Alle proteste delle amministrazioni locali e dei gruppi ambientalisti ad ogni vigilia di ventilata chiusura della linea?
Certo è che la “Pedemontana”, in barba a tutti e a tutte le leggi finanziarie passate e recenti, ancora c’è. E la stazione di Pinzano, isolata in una distesa quasi irreale di binari e pietrisco candido, quasi una piccola anticipazione del corso del Tagliamento che corre poco più a Est, continua ad accogliere i pochi treni rimasti, ad emettere con macchinette automatiche biglietti per qualsiasi destinazione nel Triveneto, a suonare le campanelle che avvertono che un treno è finalmente in arrivo. Il paese è a qualche metro più in su, collegato alla sua stazione da un viale alberato, su cui sorgeva perfino un albergo, oggi ovviamente chiuso, con la vista sul piazzale dei treni.
Immagino che in una stanza di quell’albergo un giovane ingegnere ferroviario, catapultato lì per qualche giorno obbedendo ad un assurdo ordine di servizio della propria amministrazione centrale, si attardasse ad osservare dalla finestra quei pochi treni marcati F.S. e si chiedesse per quale motivo lui dovesse trovarsi lì, per quale motivo avessero costruito quella linea così poco utilizzata, così deserta. Non trovava una spiegazione plausibile. Ma poi, alzando lo sguardo oltre la stazione, notò il parallelo corso del Tagliamento, con le sue lingue d’acqua livide e ricurve in mezzo al bianco della ghiaia, e capì che quella stazione era lì apposta per lui, un tentativo riuscito di mimesi, una rappresentazione legittima di uno spettacolo naturale imponente e affascinante, solo poco più oltre, solo poco più giù”.
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